Con il titolo Dante e il suo Poema, Dante che mostra la Divina Commedia, La Divina Commedia che illumina Firenze o altri ancora, è indicata l'opera più importante o comunque più nota del pittorore fiorentino Domenico di Francesco (1417-1491), meglio conosciuto con lo pseudonimo "di Michelino" per l'attività giovanile che svolse presso un lavoratore di avorio chimato Michelino di Benedetto.
L'affresco su tavola fu realizzato nel 1465 su cartone di Alesso Baldovinetti (1425-1499) e collocata nella Cattedrale fiorentina di Santa Maria del Fiore.
Il sommo Poeta, avvolto nel suo tipico abito trecentesco di colore rosso tiene aperto nella mano sinistra il suo poema mentre con la destra sembra voler indicare il contenuto della sua opera: la selva oscura raffigurata da sterpaglie e cespugli di colore scuro, subito dietro il poeta, e quindi l'Inferno con la sua grande e possente porta dell'inferno sulla quale è inciso l'incipit del III canto: «Per me si va ne la città dolente, / per me si va ne l'etterno dolore, / per me si va tra la perduta gente. / Giustizia mosse il mio alto fattore: / fecemi la divina potestate, / la somma sapienza e 'l primo amore; / dinanzi a me non fuor cose create / se non etterne, e io etterno duro. / Lasciate ogne speranza, voi ch' intrate». Oltre la porta si trova una lunga processione di anime dannate e di diavoli dalle orribili fattezze. Le rocce frastagliate indicano che la scena si svolge sotto terra. Seguendo il movimento delle anime dannate, dall'alto verso il basso, l'ultimo demone che troviamo raffigurato potrebbe essere Lucifero, l'angelo caduto dal cielo, non nella sua raffigurazione dantesca, a testa in giù, ma come il diavolo di colore rosso avvolto tra le fiamme, nell'iconografia che assume nel tardo medioevo.
Tra l'Inferno e il Poeta è raffigurato il monte del Purgatorio che si erge al di là di un corso l’acqua leggermente accennato; si tratta del mare dell’emisfero australe attraversato da Dante per mezzo della navicella leggera traghettata dell’angelo nocchiero per arrivare sulla spiaggia dove lo aspetterà il rito di purificazione prima di proseguire la salita. Qui la narrazione figurale si apre con l’imponente porta del purgatorio, molto fedele a quella descritta nel testo dantesco dove tre scalini di tre colori diversi conducono alla soglia: il primo di marmo candido nel quale è possibile specchiarsi, simbolo della consapevolezza delle colpe commesse; il secondo di colore scuro di pietra ruvida, spaccata nella lunghezza e larghezza, simbolo della confessione orale; il terzo di porfido rosso vivo, colore del sangue a simboleggiare la soddisfazione ottenuta con le opere attuate con l'ardore della carità. Sulla soglia di diamante troviamo l’Angelo guardiano in una veste color cenere armato di spada con la quale inciderà sulla fronte del poeta le sette P, dei sette peccati capitali. La porta nel suo colore dorato potrebbe essere ispirata alla Porta del Paradiso del Battistero di Firenze, opera di Lorenzo Ghiberti. Oltre la porta comincia la suddivisione delle cornici dantesche, dal peccato più grave a quello meno grave, seguendo un andamento ascensionale fino al paradiso terrestre raffigurato dalle figure di Adamo ed Eva che mostrano il frutto dell’albero della conoscenza. La prima cornice è quella dei Superbi spinti a terra da un peso sulla schiena, seguiti dagli invidiosi che indossano un cilicio e hanno le palpebre cucite, gli iracondi camminano nel fumo, gli accidiosi corrono gridando esempi di accidia punita, gli avari e prodighi sono distesi a terra e legati, i golosi soffrono la fame e la sete e lussuriosi camminano nel fuoco.
Nella parte superiore della tavola è raffigurato il Paradiso come una serie di sette dei nove cieli, quelli che prendono il nome dai pianeti del sistema solare, ovvero Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno e in cui sono messi bene in evidenza gli astri, circondati in una luce dorata ed il Sole è il più luminoso. L’Empireo non è raffigurato.
Sulla destra è messa in mostra in tutta la sua grandiosità la città di Firenze, illuminata da una luce dorata proveniente da sinistra; della città sono riprodotti i più imponenti monumenti all'interno delle mura della città con in primo piano una grande porta, forse l’odierna Porta di S.Niccolò: il Duomo con la maestosa Cupola del Brunelleschi e l'attiguo Campanile di Giotto. Oltre Santa Maria in Fiore si riconoscono il Palazzo del Bargello affiancata alla guglia del campanile della Badia Fiorentina, la Torre di Arnolfo di Palazzo Vecchio con accanto quello che potrebbe essere il campanile di Santa Croce.
Ai piedi della tavola è l'iscrizione: «Qui Coelum cecinit mediumque, imumque tribunal, / Lustravitque animo cuncta poeta suo, / Doctus adest dantes sua quem florentia saepe / Sensit consuliis, ac pietate patrem. / Nil potuit tanto mors saeva nocere poetae / Quem vivum virtus carmen imago facit» (Quel che l'Inferno, il Purgatorio e il Cielo cantò e discorse con sublime ingegno, il Dotto Alighieri, è qui, da cui Fiorenza ebbe spesso consiglio e amor di padre: morte non nocque a tanto Vate: ei vive in sua virtù, nel canto e in questa immago, traduzione tratta dall'opera di Melchiorre Missirini Delle memorie di Dante Alighieri e del suo mausoleo in S.a Croce stampata a Firenze nel 1832 per i torchi di Leonardo Ciardetti, 1832).
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