lunedì 22 febbraio 2021

Dante 1321-2021: Le "nostre" ragioni per celebrare un centenario


Il 4 settembre scorso, alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, si è inaugurato a Ravenna il VII centenario della morte di Dante Alighieri, avvenuta appunto in quella città tra il 13 e il 14 settembre 1321, «nel dì – come scrive Giovanni Boccaccio nel suo Trattatello in laude di Dante – che la esaltazione della santa Croce si celebra dalla Chiesa» (XIV). È lo stesso Boccaccio a ricordare che il corpo del sommo Poeta fu portato «al luogo de’ frati minori» (XV) nella cui chiesa di San Pietro Maggiore, popolarmente allora come oggi chiamata "San Francesco", furono celebrate le esequie e nell’attiguo cimitero trovò infine sepoltura.

Una ricorrenza che può essere l’occasione – come auspicava Papa Francesco – perché «la figura dell’Alighieri e la sua opera siano nuovamente comprese e valorizzate, anche per accompagnarci nel nostro percorso personale e comunitario. La Commedia può essere letta, infatti, come un grande itinerario, anzi come un vero pellegrinaggio, sia personale e interiore, sia comunitario, ecclesiale, sociale e storico. Essa rappresenta il paradigma di ogni autentico viaggio in cui l’umanità è chiamata a lasciare quella che Dante definisce “l’aiuola che ci fa tanto feroci” (Par. XX, 151) per giungere a una nuova condizione, segnata dall’armonia, dalla pace, dalla felicità» [1].  E non è la prima volta che un Pontefice addita la figura e l’opera del sommo Poeta. 

Nel secolo scorso – per fermarci a quello – lo aveva fatto Benedetto XIV in occasione del centenario del 1921, affermando che la ragione particolare per cui anche la Chiesa dovesse allora celebrare quel «solenne anniversario con memore riconoscenza e con grande concorso di popolo» stava nel fatto che «l’Alighieri è nostro» [2].  E a Dante lo stesso Pontefice dedicò nel 1921 l’enciclica In praeclara summorum che così si conclude: «Volesse il cielo che queste celebrazioni centenarie facessero in modo che ovunque si impartisse l’insegnamento letterario, che Dante fosse tenuto nel dovuto onore e che egli stesso pertanto fosse per gli studenti un maestro di dottrina cristiana, dato che egli, componendo il suo poema, non ebbe altro scopo che “sollevare i mortali dallo stato di miseria”, cioè del peccato, e “di condurli allo stato di beatitudine”, cioè della grazia divina (Dante Alighieri Epistola XIII, 15)» [3].  

Lo stesso concetto fu poi ripreso dal santo Papa Paolo VI che nel 1965, VII centenario della nascita di colui che definisce “il signore dell’altissimo canto”, così scriveva: «Qualcuno potrebbe forse chiedere come mai la Chiesa cattolica, per volontà e per opera del suo Capo visibile, si prenda così a cuore di celebrare la memoria del poeta fiorentino e di onorarlo. La risposta è facile e immediata: perché Dante Alighieri è nostro per un diritto speciale: nostro, cioè della religione cattolica, perché tutto spira amore a Cristo; nostro, perché amò molto la Chiesa, di cui cantò gli onori; nostro, perché riconobbe e venerò nel Romano Pontefice il Vicario di Cristo in terra». Certo il Pontefice non tacque allora il fatto che la voce del Poeta «si sia levata e abbia risuonato duramente contro alcuni Pontefici Romani, e che abbia ripreso con asprezza istituzioni ecclesiastiche e uomini che furono ministri e rappresentanti della Chiesa», riconoscendo comunque che questa critica non scosse mai «la sua ferma fede cattolica e la sua filiale affezione verso la Santa Madre Chiesa» [4]. 

Un “nostro” che quindi ci interpella come figli di tale Madre, ma anche come francescani: se incerto rimane il fatto che – come sostiene una certa tradizione – Dante fosse terziario francescano o, addirittura, novizio dell’Ordine, è certo che amò il nostro padre san Francesco a cui, unico tra tutti, dedicò un intero canto della Commedia. E amò anche la famiglia francescana a cui, proprio per questo, non risparmiò aspri rimproveri per essersi allontanata dall’ideale evangelico del Poverello. Perciò anche noi possiamo dire che “nostro è Dante”, e ciò affermiamo – come invitata Paolo VI nella citata lettera apostolica – non con pretesa egoistica, quanto piuttosto per assumere la responsabilità di ascoltare e far ancora risuonare la sua voce, con il santo Papa Giovanni Paolo II anche noi convinti che la sua arte «evocando sublimi emozioni e supreme certezze, si rivela ancora capace di infondere coraggio e speranza, orientando la difficile ricerca esistenziale dell'uomo del nostro tempo, verso la Verità che non tramonta» [5]. 

Lo scorso 10 ottobre 2020 papa Francesco riceveva in Vaticano la delegazione di Ravenna che portava per la benedizione la croce d’orata donata da san Paolo VI per la tomba dell’Alighieri. Alla fine dei recenti restauri quel «segno di religione e di speranza» [6] è stato ricollocato là dove fu posto il 19 settembre 1965, alla presenza trentacinque arcivescovi e vescovi francescani partecipanti al Concilio Vaticano II [7]. In quell’occasione il Pontefice annunciava il proponimento di offrire nel corso dell’anno centenario – in continuità con i suoi predecessori – una sua più ampia e dunque ormai imminente riflessione sul Dante “nostro”  [8].




Note:

[1] Messaggio al Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura in occasione delle celebrazioni del 750° anniversario della nascita di Dante Alighieri, 4 maggio 2015: online alla pagina di www.vatican.va   
[2]  Epistola Nobis, ad catholicam al Reverendo Padre Don Pasquale Morganti, arcivescovo dei ravennati e vescovo dei cervesi, in occasione del VI centenario della morte di Dante Alighieri, 28 ottobre 1914: online alla pagina di www.vatican.va
[3]  Lettera enciclica In praeclara summorum in occasione del VI Centenario della morte di Dante Alighieri, 30 aprile 1921: online alla pagina di www.vatican.va
[4]  Lettera apostolica in forma di 'motu proprio' Altissimi cantus per il VII Centenario della nascita di Dante Alighieri, 7 dicembre 1965: online alla pagina di www.vatican.va
[5] Paolo VI, Discorso al Sacro Collegio e alla Prelatura Romana, 23 dicembre 1965, online alla pagina di www.vatican.va
[6] Parole al termine della lettura dantesca da parte del prof. Vittorio Sermonti, Castel Gandolfo, 31 agosto 1997: online alla pagina di  www.vatican.va
[7]  La croce di Paolo VI sulla tomba di Dante. Trentacinque arcivescovi e vescovi francescani hanno assistito alla cerimonia, in: «L'Osservatore romano», 20-21 settembre 1965, p. 1.
[8] Cfr. Discorso alla delegazione dell'Arcidiocesi di Ravenna-Cervia in occasione dell'anno dantesco, 10 ottobre 2020: online alla pagina di www.vatican.va