martedì 12 gennaio 2021

Il Dante di Benozzo Gozzoli in San Francesco di Montefalco


Nella chiesa di San Francesco di Montefalco (Perugia), sopra gli stalli lignei del coro dell'abside affrescata da Benozzo Gozzoli nel 1452 con le storie della vita di san Francesco, lo stesso pittore realizzò una serie di 23 tondi formati da motivi floreali come nel sottarco, in cui sono effigiati i più insigni dottori e personaggi che resero illustre l'Ordine minoritico e il Terz'ordine.
Benozzo di Lese di Sandro realizzò un primo lavoro a Montefalco nella chiesa di San Fortunato, sede degli osservanti e probabilmente questo spinse fra Jacopo Macthioli, guardiano dei conventuali di San Francesco, a commissionare gli affreschi dell'abside. Gli affreschi di Montefalco sono i primi lavori che il pittore esegue come maestro, dopo essere stato al seguito dell'Angelico tra il 1438 ed il 1443 e poi ancora nel 1447 per la decorazione della cappella di San Brizio nel Duomo d'Orvieto e la Cappella Niccolina nei Palazzi Vaticani in Roma, oltre ad aver collaborato con Lorenzo Ghiberti dal 1444 al 1447, per la decorazione delle formelle della Porta del Paradiso del Battistero di Firenze, il «mio bel San Giovanni» come lo chiama Dante in Inf. XIX 17. 

Gli episodi della vita del Santo d'Assisi, sono rappresentati nelle cinque pareti dell'abside al di sopra del coro ligneo, entro dodici scene disposte su tre registri sovrapposti divisi da una fascia esplicativa; la narrazione procede da sinistra verso destra partendo dal basso. 

Al centro dei tondi sopra il coro, proprio sotto il finestrone, stanno le figure di Petrarca, Dante e Giotto, con le relative iscrizioni. Quella del sommo Poeta recita così:

THEOLOGVS . DANTES . / NVLLIVS . DOGMATIS . EXPERS

Dante è singolarmente ripreso in maniera frontale e tiene tra le mani la sua Commedia aperta nell'incipit del primo canto dell'Inferno, dove - a fatica a causa delle cattive condizioni dell'opera e delle numerose lacune - si possono leggere le prime nove terzine (vv. 1-25).


Riguardo all'iscrizione narra il Boccaccio nel Trattatello in laude di Dante (1326) che, conosciuto subito dopo la morte dell'Alighieri il proposito di Guido Novello da Polenta di erigergli un magnifico sepolcro, parecchi poeti di Romagna composero epitaffi metrici (evidentemente latini) e li mandarono al signore di Ravenna, ma nessuno di essi fu realmente posto sulla tomba, avendo Guido perduto la signoria (1322) ed essendo poi morto esule a Bologna (1330). Continua il Boccaccio rivelando che tali componimenti furono in seguito mostrati a lui (certamente a Ravenna) e che egli, volendo sceglierne uno, giacché non più di uno sarebbe stato inciso sulla tomba, e avendoli tutti esaminati, «per arte e per intendimento più degni» giudicò i versi di Giovanni del Virgilio (vissuto a cavallo tra il XIII e il XIV secolo) che comincia «Theologus Dantis, nullius dogmatis expers». L'episodio s'inquadra nelle consuetudini del tempo, testimoniate da più epitaffi coevi per una sola persona conservati insieme nei manoscritti, e in qualche caso persino incisi sulla stessa pietra, e pertanto è credibilissimo. I 7 distici di cui si compone l'epitaffio di Giovanni del Virgilio, il cui incipit è riportato sotto il ritratto di Montefalco, si leggono tutt'ora sull'arca di Dante, ma non nella forma primitiva, certo in maiuscole gotiche, nella quale lo lessero gli antichi visitatori della tomba, giacché fu reinciso, probabilmente sulla medesima arca, quando Bernardo Bembo nel 1483 rivestì la tomba di forme rinascimentali 

Fonti:
Per il Trattatello si vedano i capp. XVI e XVII dell'edizione online alla pagina di it.wikisource.org; le note sull'epitaffio sono prese dalla voce "Epitafi" redatta da Augusto Campana per l'Enciclopedia dantesca, online alla pagina di www.treccani.it.