«Da Anna Maria Chiavacci Leonardi una luminosa iniziazione a Dante» di Inos Biffi ("Avvenire-Bologna7", 11 gennaio 2004)

Resta un po' un mistero come abbia potuto vedere la luce un'opera come la Commedia di Dante, tra tutti i poemi dell'umanità probabilmente il più alto e ispirato. L'autore la definisce «poema sacro», nella persuasione che ad essa «ha posto mano e cielo e terra» (Par XXV, 2), sia perché vi concorsero, a comporlo, l'azione divina e le capacità dell'uomo, sia perché tutta l'opera verte e si unifica nel tema di Dio e in quello dell'uomo esplorati nel loro intimo rapporto. «Si dichiara in questo verso, - spiega Anna Maria Chiavacci Leonardi - non solo il confluire nel poema della storia terra e delle realtà celesti (le une compimento e senso dell'altra), ma anche il collaborare alla sua stesura dell'ingegno dell'uomo e della grazia divina». Citiamo la professoressa Chiavacci Leonardi perché riteniamo il suo Commento alla Commedia (prima edito da Mondadori e poi da Zanichelli) tra i più belli, se non il più bello, e il più acuto ed esauriente di cui oggi disponiamo.

Esso rivela un'ampia informazione bibliografica, senza che questa rechi alcun ingombro al dettato; rivela una precisa conoscenza della varietà dei riferimenti di Dante - da quelli mitologici a quelli storici, da quelli filosofici a quelli geografici, da quelli biblici a teologici - così che i versi danteschi, non raramente ardui, se non intricati, si trovano sciolti e trasparenti, anche per merito di una scrittura, tersa e suggestiva.

Ma, soprattutto, chi legga e studi la Commedia con la guida della professoressa fiorentina avverte che ne sono stati intimamente colti la genesi, da cui diparte, il movimento che la conduce, l'esito, da cui riceve il suo senso profondo, e, quindi, l'incomparabile originalità.

Certo, non mancano di validità gli accostamenti parziali e meno intieri alla Commedia, o gli svariati e molteplici sentieri su cui percorrerla, e non pochi commenti o eccellenti studi si segnalano da queste parziali prospettive - la storia, i miti, i simboli, il linguaggio, la politica, la filosofia e altro ancora.

E, tuttavia, l'intelligenza del poema avviene veramente, quando si comprenda che esso è nato come poema della fede cristiana, potentemente e drammaticamente rivissuta nell'esperienza interiore e nella concreta situazione storica di Dante.

Entrano nella materia della Commedia miti antichi e mitologia; vi si riscontra un mondo di simboli; così come la sostengono arcaiche concezioni e rappresentazioni della pura immaginazione; ma, soprattutto, a sostanziarla - nella potenza viva dei suoi personaggi, e dei suoi eventi e sentimenti - è la storia umana, compresa quella minuta, fatta entrare in quella universale, che è per Dante ultimamente, o primariamente, la storia della salvezza. «Il poema di Dante è la più alta voce poetica - forse la sola - che esprima in tutta la sua profondità l'idea cristiana di uomo».

A ben vedere, un non cristiano intenderebbe assai poco dell'intenzione e dello spirito che muove e anima l'opera dantesca, e meno ancora la potrebbe gustare chi non condividesse la convinzione del poeta, per il quale Dio - l'Amore che tutto muove e pervade e che è dal principio l'«attrattiva» del poema - coincide col «fine di tutt'i disii», in cui quale è portato a compimento tutto «l'ardore del desiderio» (Par XXXIII, 46-48). E allora, le stesse parole vengono meno e si estenua la possibilità creativa: la Commedia è finita; ad essa succede l'ineffabilità della contemplazione, quando al suono delle parole succede il silenzio della visione. Viene alla mente quello che Tommaso d'Aquino al termine della vita andava ripetendo, dopo tanto insegnamento e tanti scritti: «La mia scrittura è arrivata alla fine. E mi pare paglia tutto quanto ho scritto». Dante, da parte sua. «A l'alta fantasia qui mancò la possa» (Par XXXIII, 142).

D'altra parte, il poeta non si limita alla descrizione di vicende esterne o a un racconto dei suoi percorsi: egli traccia nella Commedia appunto il suo «vissuto», o l'itinerario personale di liberazione e di ascensione a Dio, come a supremo termine del suo desiderio, forse fino a una comunione «mistica»: un itinerario, per altro, che, pur così segnato di impronta singolare, appare, in realtà, modello di ogni cammino umano che voglia riuscire: «la vicenda del Dante storico viene a coincidere con la vicenda universale dello spirito dell'uomo», in un incontro tra «storia ed eternità» (Chiavacci).

Si riesce a capire la Commedia a partire dalla terza cantica, quella solitamente più trascurata e, certo, la meno immediata a un primo contatto. Dalla «sublime cantica», come Dante stesso l'ha chiamata, dalla sua grazia - che prende la forma e contorno di «tre donne benedette» e che è fatto tutto di luce e di armonia, senza per ciò ridursi a figure impalpabili e sfuggenti - prende avvio tutta la Commedia. Dal Paradiso è iniziato quell'alto e arcano viaggio, che toccherà il suo vertice e la sua soddisfazione nella visione della Trinità, con la persona del Figlio «pinta della nostra effigie» (Par XXXIII, 131).
A ragione la Commedia va chiamata una storia della grazia, di quella che ha riscattato e ha avuto successo in Dante, e, di là da quella, della grazia che - abbiamo detto - è la storia della salvezza, a cui si riduce tutta l'altra storia.

Indubbiamente, «la Commedia non è un trattato di teologia. è un grande testo di poesia»; non è, in altri termini, una Somma di teologia, quale fu quella di Tommaso, così presente e così gradito a Dante. è una poesia della teologia - e della filosofia - cristiana: è il mistero cristiano, in cui tutto, conservando la propria identità, è riassunto e coinvolto, facendosi poesia e di essa assumendo la bellezza e la suggestione, pur senza che mai ne scapiti l'ortodossia. E questa è la sua meraviglia. Dante ha saputo riconoscere il mistero e tradurlo, come nessun altro aveva fatto prima o farà dopo, nel linguaggio dell'arte della poesia.

E non nel latino paludato, ma nel «volgare» vivo e accessibile, nella «lingua quotidiana», conservata intatta fino ad oggi. In Dante la realtà si converte in lingua, e le cose improntano e generano le «voci», accendendosi e quasi trasformandosi in esse. E, tra gli altri, ancora tutto un lavoro affascinante resta da fare: l'esame dei concetti teologici e filosofici nella loro sorprendente conversione nel genere e nel linguaggio della poesia. Ma tutta la Commedia i teologi dovrebbero studiare con passione.

Diciamo, a conclusione di queste riflessioni, che si deve essere molto grati alla professoressa Chiavacci per la sua luminosa iniziazione alla Commedia: a questa parola «così vicina all'uomo e così immersa nel divino».

Fonte: Avvenire-Bologna, 11 gennaio 2004, p. 5 (pagina di www.chiesadibologna.it)

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